Durante il secondo conflitto mondiale si è assistito all’uscita di scena della capital ship -nave di punta- di allora, la corazzata. Questa era la nave più importante di una flotta che si rispetti. Infatti le tecniche di combattimento di allora si basavano sulla grande distanza, la super potenza dei cannoni e la corazza molto spessa. Questi requisiti erano riassunti in splendide corazzate quali la tedesca “Bismark”, l’italiana “Vittorio Veneto”, l’inglese “King George V”, l’americana “Missouri”, la francese “Richelieu” e la giapponese “Yamato”. Questi i nomi delle punte di diamante delle principali marine durante la WWII (War World Two). Ma proprio durante questo conflitto un altro mezzo prese il posto di capital ship: il sommergibile. Silenzioso, invisibile, difficile da scovare e pericolosissimo. I tedeschi avevano già sperimentato con grande successo la potenza di questa nuova arma durante la WWI. Nella WWII il potenziale bellico del sommergibile fu aumentato notevolmente e la Germania lo sfruttò appieno nell’Atlantico. Qui infatti prese luogo la famosa “Battaglia dell’Atlantico”, come la battezzò Winston Churchill. Questa durò per tutti i sei anni del conflitto e vide contrapposti i sommergibili oceanici della Kriegsmarine e, in maniera molto ridotta, i Focke-Wulf 200 Condor, bombardieri-ricognitori a lungo raggio, contro la Royal Navy inglese e la U.S. Navy americana. Per i primi tre anni il bottino degli U-Boote fu molto elevato, tanto che l’Inghilterra rischiò il collasso. Ma poi le cose cambiarono. L’introduzione su larga scala del SONAR, ma soprattutto la cattura da parte degli inglesi della macchina “Enigma”, il decifratore con il quale si scambiavano le informazioni i sommergibili tedeschi, rese possibile l’annientamento della flotta sottomarina nazista.

All’inizio della Seconda Guerra Mondiale il comando sommergibilistico della Kriegsmarine, comandato dall’ammiraglio Doenitz, aveva sviluppato alcune semplici tattiche da far adottare ai propri U-Boote. Intanto bisogna precisare che questi battelli erano studiati per navigare prevalentemente in superficie, poiché andavano più veloce e l’autonomia era molto maggiore rispetto a quella in immersione. Quindi un U-Boot navigava in superficie finché non trovava il bersaglio. Se questo era una nave militare il sommergibile si immergeva e quindi lanciava i suoi micidiali siluri da 533 mm. Una volta che la nave era affondata il battello riemergeva in cerca di un’altra preda. Se la nave invece era mercantile, vale a dire, non armata, l’U-Boot restava in emersione e la affondava a cannonate. Infatti montato sul ponte vi era un pezzo da 88 mm o da 105 mm. Ma questo finché le navi mercantili viaggiavano da sole e senza scorta. I FW 200 Condor le intercettavano e trasmettevano la posizione agli U-Boote nella zona. Questi poi facevano il resto. Ma dal 1942-3 in poi, i rifornimenti all’Inghilterra e alla Russia venivano mandati in convogli scortati. Questi erano solitamente composti da una ventina di navi mercantili e sei navi militari, di solito cacciatorpediniere. Un singolo U-Boot non poteva farcela con un naviglio così consistente. E allora nacquero i “Branchi di lupi”, la più temibile arma sottomarina della WWII. La tattica era simile a quella di un branco di lupi. Il branco navigava cercando di coprire più area di mare possibile. Quando uno dei “lupi” avvistava una preda, un bersaglio, chiamava gli altri e si radunavano tutti in un punto. Una volta che erano tutti insieme, al calar della notte, attaccavano. Si infilavano tra le navi mercantili, lanciavano più siluri possibile e quando le cacciatorpediniere arrivavano, scappavano per ritornare la sera dopo, sempre di notte. Durante il giorno si disperdevano e alla sera si rincontravano per attaccare ancora. Andavano avanti così finché del convoglio non rimaneva niente. Di solito un “branco” era costituito da una quindicina di U-Boot.